14 Mar Rapporto sull’inquinamento: dati sempre più allarmanti sul numero di morti in Europa
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Nel 2015 sarebbero stati 790mila i decessi (659mila nei Paesi Ue) vittime di malattie cardiovascolari o ictus. L’aria più malsana negli stati dell’Est
Quasi nove milioni nel mondo. Poco meno di ottocentomila soltanto in Europa. I numeri dei decessi provocati ogni anno dall’inquinamento atmosferico hanno proporzioni ben più ampie di un bollettino di guerra. E, aspetto decisamente preoccupante, sarebbero il doppio di quelli che in realtà immaginavamo fino a oggi. A svelarli è uno studio pubblicato da un gruppo di ricercatori dell’Università di Magonza (Germania) sull’«European Heart Journal», svelato soltanto pochi giorni dopo l’altrettanto poco rassicurante rapporto dell’«International Council on Clean Transportation (Icct)».
La ricerca, attraverso un modello matematico, ha stimato che nel 2015 sarebbero stati 790mila i decessi dovuti all’inquinamento in tutta Europa (659mila nei Paesi Ue). Tra le cause di morte, al primo posto le malattie cardiovascolari e gli ictus: pari a una quota compresa tra il 40 e l’80 per cento del totale, più del doppio di quella rilevata per le malattie respiratorie.
L’inquinamento miete più vittime delle sigarette?
Il rapporto, che ha il limite dell’incertezza di una stima, azzarda come l’inquinamento atmosferico possa provocare più decessi rispetto al fumo di sigaretta. Un aspetto preoccupante perché «per il fumo, ognuno di noi può fare qualcosa, mentre chi vive in un luogo inquinato non può evitare di respirare», per dirla con Thomas Munzel, direttore del dipartimento di cardiologia dell’Università di Magonza e coordinatore dello studio.
Globalmente, l’inquinamento determina 120 morti in più ogni centomila abitanti. Un dato inferiore a quella che è la media europea: pari a 133 decessi su un analogo campione. Andando nel dettaglio dei singoli Paesi del Vecchio Continente, i tassi di mortalità più elevati dovuti all’aria malsana sono stati registrati negli stati dell’Est: in Bulgaria, Croazia, Romania e Ucraina si supera la quota dei 200 decessi ogni centomila abitanti.
Quanto alle altre nazioni, la graduatoria vede la Germania (154) davanti alla Polonia (150), all’Italia (136), alla Francia (105) e al Regno Unito (98). Il divario tra i vari Paesi, secondo Jos Lelieveld, docente di fisica dell’atmosfera del Max-Plank Institute e co-autore della ricerca, «non è dovuto a maggiori tassi di inquinamento nei Paesi dell’Europa orientale, ma probabilmente a uno standard di cure più elevato negli Stati occidentali, dove l’aspettativa di vita è generalmente più alta». A ogni modo, senza particolari differenze, l’inquinamento atmosferico determinerebbe una riduzione della prospettiva di vita individuale di due anni.
Polveri «invisibili», ma letali
Rispetto alla «miscela» di sostanze inquinanti presenti nell’aria, secondo i ricercatori le maggiori responsabilità sono da ascrivere alle particelle ultrafini: il cosiddetto PM 2,5, in grado di penetrare finanche gli alveoli polmonari (ultima porzione dell’albero respiratorio). In questa categoria rientrano sia molecole di origine naturale (erosione del suolo, incendi, dispersioni di pollini) sia composti che hanno origine dai processi di combustione e dal traffico veicolare.
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, che a partire dal 2030 prevede 250mila decessi all’anno per malattie provocate dalle conseguenze dell’effetto serra, la loro concentrazione nell’aria non dovrebbe mai superare i 10 microgrammi per metro cubo. In Europa, invece, la media si assesta sui 25. Dimezzare le emissioni di quella che oggi è considerata come una delle principali minacce per la salute globale è possibile? Sì, secondo i ricercatori, che nel lavoro citano come esempio il Canada, l’Australia e buona parte degli Stati Uniti. Come? Riducendo anzitutto l’uso dei combustibili fossili – petrolio, carbone, metano – che, una volta bruciati per produrre energia, liberano grandi quantità di anidride carbonica e altri inquinanti che creano un grande impatto sull’ambiente.
«Occorre produrre energia in maniera pulita: rispettando l’accordo di Parigi, la mortalità dovuta all’inquinamento nel nostro continente potrebbe ridursi fino al 55 per cento», aggiunge Lelieveld. Nessuno è escluso dall’appello: grandi industrie, aziende agricole, singoli cittadini.
L’inquinamento fa male (innanzitutto) al cuore
I ricercatori sono arrivati a ottenere questi dati inserendo in un modello matematico i dati messi a disposizione dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (tassi e cause di mortalità per area, densità di popolazione, età, luogo di residenza) e le stime relative ai processi che avvengono in atmosfera a partire dalle sostanze sprigionate nel corso della produzione di energia, dal traffico o nel corso di attività agricole o industriali. In questo modo, con un metodo statistico considerato più accurato, hanno potuto stimare la quota di decessi aggiuntiva, dovuta all’inquinamento.
Se finora si era portati a pensare all’azione degli inquinanti soprattutto a livello respiratorio, lo studio ha rilevato un impatto più alto del previsto sulla salute del cuore e delle arterie. «Il legame è ormai consolidato – prosegue l’esperto -. Queste particelle aumentano lo stress ossidativo a livello dei vasi sanguigni: ciò determina un aumento della pressione sanguigna e un’insufficienza cardiaca. Condizioni che, alla lunga, fanno crescere il numero degli ictus e degli infarti». Tra le altre maggiori cause di morte: le trombosi venose, le aritmie cardiache, le polmoniti, i tumori del polmone e la Bpco.
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